Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                               Pagina iniziale > Articoli > Afghanistan 2

AFGHANISTAN (2)

 

 

Già prima dell’intervento sovietico gli Stati Uniti cominciano a far arrivare finanziamenti all’opposizione afghana. Dopo l’invasione, gli Usa concordano col Pakistan un piano di sostegno molto più ampio, coinvolgendo come paese finanziatore anche l’Arabia Saudita. Dal 1982, inoltre, l’Isi, il servizio segreto militare pakistano, avvia una campagna di reclutamento nei paesi musulmani, facendo affluire in Afghanistan combattenti islamici di tutto il mondo. Presentando questa lotta contro i sovietici e i comunisti afghani come un jihad, una «guerra santa» dei musulmani contro gli infedeli, si comincia ad attirare volontari da molti paesi islamici, soprattutto arabi. Dopo qualche anno arriverà anche Osama bin Laden, che contribuirà a far arrivare ulteriori finanziamenti dal mondo arabo (si veda Terrorismo islamico 2).

 

Volontari – Questa campagna di reclutamento di volontari viene poi appoggiata sia dagli americani sia dai sauditi. Ognuno dei paesi coinvolti ha le proprie motivazioni: il Pakistan del presidente Zia ul-Haq vuole porsi, oltre che, in prospettiva, come dominatore dell’Afghanistan, anche come guida del mondo islamico soprattutto in Asia centrale; l’Arabia Saudita vede l’occasione di promuovere la propria interpretazione puritana dell’Islam, il wahhabismo (si veda Terrorismo islamico 3), trovando inoltre uno sfogo per i propri connazionali più radicali, che possono andare a combattere un jihad anziché causare problemi in patria; e gli Stati Uniti vogliono dimostrare che, nel contesto della guerra fredda, e nonostante il voltafaccia dell’Iran, tutto il mondo musulmano è schierato dalla parte degli Usa e combatte contro i sovietici. Questi volontari tuttavia hanno altri progetti e, una volta conclusosi il jihad afghano, rivolgeranno le armi contro i propri paesi di origine e contro gli stessi Stati Uniti e andranno a combattere in tutte le guerre in cui saranno coinvolte popolazioni musulmane (Bosnia, Cecenia, Kashmir).

 

Guerriglia – La guerriglia prosegue per diversi anni, giungendo a una situazione di stallo: i sovietici non riescono a prevalere, ma anche i guerriglieri (mujaheddin, «coloro che praticano il jihad») incontrano grosse difficoltà soprattutto per via degli elicotteri blindati dei sovietici, che sono praticamente inattaccabili dalle armi in mano agli afghani. La svolta giunge nel 1986, quando gli Stati Uniti del presidente Reagan accettano di fornire ai guerriglieri i micidiali missili Stinger americani e Blowpipe inglesi per abbattere gli aerei e gli elicotteri. A quel punto le perdite da parte sovietica aumentano e la situazione diventa insostenibile. Anche per via della mutata situazione politica a Mosca, dopo l’avvento al potere di Gorbaciov, tra il 1988 e il 1989 i sovietici si ritirano dall’Afghanistan. I dieci anni di occupazione sono costati all’Unione Sovietica quasi ventimila morti, ma per l’Afghanistan si calcola circa un milione e mezzo di vittime.

 

Ritiro sovietico – Il ritiro sovietico, a cui si aggiunge, alla fine del 1991, la vera e propria dissoluzione dell’Urss, viene accolto nel mondo islamico radicale con grande entusiasmo. Si ritiene che la sconfitta in Afghanistan sia stata il fattore principale, se non unico, per il crollo dell’Unione Sovietica, per cui molti musulmani considerano questo evento una grande vittoria dell’Islam, paragonabile alle conquiste del primo impero arabo-islamico fra VII e VIII secolo. Avendo sconfitto l’Urss, il jihad potrà sconfiggere anche gli Usa e a maggior ragione i regimi dei paesi islamici, considerati alleati dell’una o dell’altra superpotenza. In questo clima emergerà l’attività terroristica di Osama bin Laden e dei vari gruppi islamisti (si veda Terrorismo islamico 2).

 

Guerra civile – In Afghanistan, però, anche dopo il ritiro sovietico il problema non è risolto. Il regime comunista afghano, ora guidato da Najibullah, continua a essere finanziato e armato dall’Urss e resiste agli attacchi dei mujaheddin. Solo quando, con la fine del 1991, viene dichiarato lo scioglimento dell’Unione Sovietica, vengono a cessare questi aiuti e il regime afghano crolla dopo pochi mesi. Nell’aprile del 1992 Kabul viene conquistata. Il fatto inconsueto, tuttavia, è che a impossessarsi della capitale afghana non sono i pashtun di Gulbuddin Hekmatyar, ma i tagichi di Ahmad Shah Massud, assieme agli uzbechi di Rashid Dostum, che si insediano al potere. A parte la brevissima parentesi di Baché-yé Saqqa nel 1929 (si veda Afghanistan 1), è la prima volta nella storia che Kabul non è sotto il controllo dei pashtun. Hekmatyar non ci sta e rifiuta di unirsi agli altri gruppi di guerriglieri, formalmente suoi alleati, per costituire un governo comune. Procede invece a bombardare Kabul per scacciare le altre fazioni. Il risultato è un proseguimento della guerra civile, che in due anni provoca 30 mila morti e la distruzione quasi totale della capitale afghana.

 

Talebani – Nel 1994 emerge un movimento che vuole porre fine alla guerra civile: è quello dei talebani, gli «studenti» delle scuole coraniche, in cui ben presto il Pakistan del primo ministro Benazir Bhutto vede la soluzione del problema afghano, mirando all’insediamento di un governo pashtun amico dei pakistani. In particolare, il Pakistan vuole commerciare con le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, ma la via di comunicazione principale, che da Peshawar passa per Kabul e si dirige verso il Tagikistan e l’Uzbekistan, è bloccata dai combattimenti. Si decide allora di aprire una via alternativa a sud, dove non si combatte, da Quetta nel Belucistan pakistano a Qandahar e verso il Turkmenistan. Questo sarà il compito dei talebani, guidati dal mullah Omar, il quale proclama un jihad, non però contro stranieri o infedeli, ma contro la stessa popolazione afghana.

Grazie all’appoggio pakistano, nell’arco di due anni i talebani conquistano gran parte dell’Afghanistan e vengono accolti inizialmente con favore dalla popolazione, stremata dall’interminabile guerra civile, perché portano finalmente la pace, sottraendo inoltre il potere ai vari «uomini forti» locali, capi di milizie che controllano il territorio arricchendosi e dettando legge. La pace non è completa, perché nel nord i tagichi di Massud e altre formazioni non pashtun continuano a combattere, ma la maggior parte della popolazione può ritornare a una vita quasi normale.

 

Caos – Tuttavia i talebani si rivelano incapaci di governare il paese. Introducono una serie di norme restrittive che vietano i divertimenti, prevedono gravi punizioni ispirate alla sharia (lapidazione per i colpevoli di adulterio, mutilazioni per i ladri) e proibiscono alle donne di lavorare, di studiare e perfino di uscire di casa se non avvolte nel burqa, un mantello che copre interamente il corpo, con una griglia all’altezza degli occhi.

L’esclusione delle donne dalla vita pubblica suscita incomprensione e ostilità nell’opinione pubblica occidentale, ma per i talebani non è una cosa strana. Per la maggior parte, i talebani sono molto giovani, fra i 15 e i 25 anni, e sono cresciuti nei campi profughi afghani in Pakistan passando già nel corso dell’infanzia alle scuole coraniche, ambiente esclusivamente maschile, per cui ritengono normale che le donne siano assenti o invisibili.

I talebani non si preoccupano di istituire un’amministrazione moderna; ritengono che l’osservanza della religione sia sufficiente a garantire il benessere della popolazione. Pertanto il paese rimane nel caos più totale, dove a funzionare sono soltanto il contrabbando e il traffico di droga. L’Afghanistan infatti è il principale produttore mondiale di oppio e del suo derivato più potente, l’eroina. I talebani si finanziano tassando produttori e trafficanti di droga nonché i contrabbandieri, ma il denaro così raccolto viene speso per acquistare armi o forniture per gli stessi talebani. Non ci sono né la volontà né i finanziamenti per creare un’amministrazione statale degna di questo nome, tanto meno un servizio sanitario o un’istruzione pubblica.

 

Salafiti – Il problema di fondo è che l’idea di governo dei talebani è quella dei cosiddetti salafiti (si veda Terrorismo islamico 3), i quali auspicano un ritorno alla primissima epoca dell’Islam, quella del Profeta e dei quattro califfi «ben guidati», vale a dire al VII secolo, quando il nascente e crescente impero arabo-islamico era guidato da una personalità di spicco che era al tempo stesso autorità politica e spirituale. Così l’idea dei salafiti è che tale duplice autorità vada assegnata a un uomo (certamente non a una donna) che per carattere e purezza sia in grado di emulare il Profeta. In una concezione del genere non vi è spazio né per la creazione di istituzioni di tipo democratico (dove il potere è temporaneo e legato alla carica ricoperta, non alla persona che la ricopre), né per quanti non condividano la religione islamica, per di più ristretta a questo modo di vedere.

Nella complessa realtà afghana, il governo dei talebani viene visto non solo come un’imposizione di tale idea salafita, non condivisa da molti musulmani, ma anche come un ennesimo tentativo dei pashtun, a cui appartengono i talebani, di imporsi sugli altri gruppi etnici. Da qui l’opposizione armata dei tagichi e degli altri gruppi, fra cui gli hazara, i quali per di più sono sciiti e legati all’Iran e pertanto ulteriormente discriminati.

I talebani infatti fanno proprio il concetto di jihad non solo come lotta contro gli stranieri o gli infedeli, ma anche come opposizione ai governanti ingiusti, seppure musulmani. Se questa concezione permette loro di prevalere sugli «uomini forti» avidi e corrotti, secondo il modo di vedere delle minoranze etniche i talebani si servono del jihad per giustificare lo sterminio delle etnie diverse dai pashtun.

 

Fazioni – Inizialmente l’avvento dei talebani suscita speranze di unificazione del paese perché gli studenti coranici si pongono al di sopra delle fazioni di guerriglieri che si combattono per la conquista del potere. L’origine della divisione tra i gruppi di mujaheddin va ricercata, oltre che nella tradizionale frammentazione della società afghana, anche nell’operato del Pakistan, che durante il jihad antisovietico ha alimentato le rivalità fra i gruppi di combattenti afghani, impedendo la nascita di un’organizzazione unitaria. Il generale Zia ul-Haq, al potere in Pakistan dal 1977 al 1988, aveva comandato le truppe pachistane che nel famigerato «settembre nero» del 1970 in Giordania avevano aiutato re Hussein a combattere i palestinesi di Arafat. Zia si era così reso conto della pericolosità di un movimento organizzato di guerriglia all’interno di un paese, movimento che può andare a formare uno Stato nello Stato difficilmente controllabile. Favorendo la disunione fra i gruppi di mujaheddin, Zia poteva evitare questo pericolo e legare i vari gruppi al Pakistan, che infatti controllava le forniture di armi e di approvvigionamenti ai mujaheddin.

Dopo il crollo del regime di Najibullah le divisioni tra i gruppi di guerriglieri sono ormai troppo profonde per porvi rimedio e impediranno all’Afghanistan di formare un governo con il consenso di tutte le fazioni.

 

Sostegno Usa – Fra il 1994 e il 1996, quando i talebani si affermano in gran parte dell’Afghanistan, gli Stati Uniti appoggiano il movimento, sia perché considerato espressione del Pakistan, alleato degli Usa, sia perché fortemente anti-sciita e quindi oppositore dell’Iran, acerrimo nemico degli Stati Uniti. Vi è inoltre il progetto dell’azienda americana Unocal di costruire un gasdotto che dal Turkmenistan arrivi in Pakistan, attraverso il territorio afghano, per esportare il gas dell’Asia centrale senza passare per l’Iran.

In seguito però l’atteggiamento americano si rovescia completamente, per vari motivi. In un primo momento è l’elettorato femminile americano (indispensabile per la rielezione del presidente Clinton) a indurre Washington a prendere le distanze dai talebani, visto il trattamento da loro riservato alle donne afghane. Poi i talebani si oppongono al progetto del gasdotto. Infine danno ospitalità a Osama bin Laden, che gli Usa cercheranno inutilmente di catturare o farsi consegnare.

La situazione si aggraverà dopo gli attentati organizzati da bin Laden contro le ambasciate americane in Africa nell’agosto del 1998 e diventerà insostenibile dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, con la decisione americana di attaccare l’Afghanistan il mese successivo. Di questo si parlerà (prima o poi) in un altro articolo.

 

 

 

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