Roberto Sorgo                                                                                           Pagina iniziale > Recensioni > Speciale Afghanistan

SPECIALE AFGHANISTAN

 

 

 

Ecco alcune indicazioni per chi volesse conoscere la storia recente dell’Afghanistan e il suo ruolo nella nascita del terrorismo islamico di al-Qaeda, nonché il ruolo di Pakistan, Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita nella complessa situazione mediorientale.

Due testi fondamentali e ricchissimi di informazioni sono quelli del giornalista pachistano Ahmed Rashid: Talebani, di cui è uscita la nuova edizione aggiornata al 2009 (Feltrinelli, Milano 2010), e Caos Asia (Feltrinelli, Milano 2008). L’unico rammarico è che, specialmente per il secondo volume, la traduzione sia tanto scadente. Chi può, farà meglio a leggere gli originali in inglese (Taliban, Yale University Press, New Haven, Conn., 2000; Descent Into Chaos, Viking Penguin, New York 2008). Rashid è un grande conoscitore dell’Afghanistan e di tutte le vicende che lo hanno coinvolto negli ultimi trent’anni, vicende di cui Rashid è stato testimone nonché commentatore per varie testate giornalistiche internazionali. Per chi vuole farsi un’idea della situazione afgana, questi sono i libri indispensabili.

 

Chi non si scoraggia davanti a un tomo di oltre 700 pagine può affrontare Steve Coll, La guerra segreta della Cia (Bur/Rizzoli, Milano 2008). La storia dell’Afghanistan dal momento dell’invasione sovietica fino ai talebani, passando per la nascita di al-Qaeda, è vista da una prospettiva americana, e in particolare del servizio segreto più famoso (e, si direbbe, più impreparato) del mondo. Cercando di non smarrirsi nella selva di personaggi poco o per nulla noti, si possono conoscere i retroscena delle decisioni che hanno portato gli americani a sostenere il jihad contro i sovietici, poi a disinteressarsi dell’Afghanistan, quindi ad appoggiare i talebani per poi considerarli nemici. Il tutto condito da forniture di armamenti (tra cui i famosi missili Stinger, che poi la Cia cercava di ricomprare dai mujaheddin), episodi di corruzione, successi e fallimenti in una vasta operazione più o meno segreta, chiaramente sfuggita di mano. La traduzione è imperfetta, ma accettabile. Per chi preferisce l’originale: Ghost Wars, Penguin, New York 2004.

 

Molto interessante nel contenuto, orrendo nella forma: si può così sintetizzare il volume di Carlo degli Abbati e Olivier Roy, Afghanistan (Ecig, Genova 2002). Roy, grande esperto di Islam, aveva pubblicato questo testo nel 1985, quando l’Afghanistan era in piena occupazione sovietica. Roy traccia un dettagliato resoconto della società afgana e delle sue manifestazioni religiose, nonché della storia del paese a partire dalla nascita dello stato afgano nel XVIII secolo, ma si concentra soprattutto sulla situazione politica e militare negli anni dell’occupazione sovietica (e non si capisce come mai la copertina prometta un resoconto dell’Islam afgano fin dal remoto 871). L’analisi è molto accurata, ma la pessima traduzione di degli Abbati la rende quasi illeggibile. Innanzi tutto il libro è zeppo di refusi (tanto per citarne uno, la provincia di Nangarhar viene sempre scritta «Nangrahar») e poi abbondano gli errori di traduzione, come attitude tradotto sempre «attitudine» anziché «atteggiamento», o voire reso con l’incomprensibile «vedi» in luogo di «addirittura». Anche la parte iniziale del libro, scritta da degli Abbati, espone un quadro preciso, seppure sintetico, delle radici storiche e religiose che hanno portato all’avvento dei talebani, ma risente in maniera ancora più marcata della sciatteria nella scrittura del testo: refusi in abbondanza e perfino frasi incomplete per mancanza di qualche parola. Un peccato, perché il libro poteva essere un contributo valido alla comprensione di ciò che è avvenuto in Afghanistan negli ultimi trent’anni.

 

Una testimonianza di prima mano è quella di Niccolò Rinaldi, Droga di Dio (L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2002). Rinaldi, che ha girato l’Afghanistan per conto delle Nazioni Unite, racconta la sua esperienza di contatti (e scontri) con la popolazione e con i capi delle varie tribù e fazioni. Il libro è interessante soprattutto per le numerose testimonianze (per esempio delle donne afgane) riguardo all’Afghanistan nel periodo dei talebani. Sono riportati per esempio i decreti dei talebani sulle donne e sulla moralità, che risulterebbero ridicoli se non fossero tragici, ma si parla di vari aspetti della vita afgana, dalla religiosità all’uso di droga, ma anche della fabbricazione di tappeti. Il volume è spesso coinvolgente, però sembra scritto piuttosto di fretta, in maniera talvolta sciatta. Si leggono infatti alcune affermazioni incomprensibili, come “un tasso di fertilità di quasi il sette per cento per ogni donna”. Come purtroppo bisogna constatare spesso (e il discorso vale anche per gli altri volumi citati), si sente la mancanza di una revisione del testo in redazione.

 

Un autore italiano che pubblica però in inglese è Antonio Giustozzi della London School of Economics. È autore di vari volumi sull’Afghanistan. Il suo recente Koran, Kalashnikov and Laptop (Columbia University Press, New York 2008) si concentra su quelli che l’autore chiama «neo-talebani», impegnati negli ultimi anni a combattere contro le truppe straniere e contro il governo di Hamid Karzai. Giustozzi esamina i motivi che inducono molti afgani a unirsi a questa rivolta dei talebani, a causa soprattutto dell’inadeguatezza del governo afgano, della diffusa corruzione e dell’arricchimento illecito di alcuni a danno della popolazione che non ha reali prospettive di uscire dalla povertà.

 

Non parla soltanto di Afghanistan ma anche di Iraq, Indonesia, Malaysia ed Europa il libro di David Kilcullen The Accidental Guerrilla (Oxford University Press, Oxford/New York 2009), titolo che si potrebbe tradurre «guerriglieri per caso». L’autore, un australiano che è uno dei massimi esperti mondiali di strategie antiguerriglia, sottolinea proprio la casualità, dovuta a qualche episodio imprevedibile, che induce molte persone di varie parti del mondo a diventare guerriglieri. Ma l’autore descrive chiaramente anche le società, in particolare quella afgana e quella irachena, entro cui si muovono questi guerriglieri e in cui bisognerebbe operare per sconfiggere le rivolte. Offre anche alcuni suggerimenti su come affrontare queste situazioni, in base alle esperienze da lui maturate in diversi scenari internazionali. Una cosa si può certo affermare: il modo in cui sono state affrontate, almeno inizialmente, le realtà dell’Iraq e dell’Afghanistan non sarebbe potuto essere più sbagliato.

 

 

 

 

 

 

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