Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                                                     Pagina iniziale > Religioni > San Paolo 1

RISORTO CHI?

SAN PAOLO E LA NASCITA DEL CRISTIANESIMO (I)

 

 

San Paolo può essere considerato il vero fondatore del Cristianesimo, anche se né lui né Gesù avevano intenzione di fondare alcunché. È necessaria una premessa per inquadrare la predicazione di entrambi. Tanto Gesù quanto Paolo (nonché Giovanni Battista) possono essere considerati ebrei apocalittici. Il termine prende il nome dall’Apocalisse («rivelazione») di Giovanni che troviamo nel Nuovo Testamento e da altri testi analoghi, sia ebraici sia cristiani, in cui viene descritta una grande battaglia finale tra le forze del bene e le forze del male; vincono sempre le forze del bene (come nei film americani), dopo di che si instaura una nuova era di pace e prosperità. Questo è il nucleo del pensiero apocalittico, che non nasce all’epoca di Gesù e Paolo ma un paio di secoli prima. In sintesi, si tratta di questo: il mondo va male, ci sono guerre, carestie, epidemie, sofferenze di ogni genere; per gli ebrei va peggio che per gli altri perché vi è inoltre la dominazione straniera. Tutto questo non è colpa di Dio; è colpa di forze demoniache, forze del male che si sono impadronite del mondo, e chi in questo mondo ha la ricchezza e il potere è evidentemente alleato a queste forze del male. Non viene detto perché sia successo, o perché Dio permetta una cosa simile, ma si dà per scontato che sia così, vista la situazione assai grama. La soluzione però è vicina, perché Dio presto manderà il Messia, che in una grande battaglia finale sconfiggerà le forze del male e inaugurerà poi una nuova era di pace e prosperità, qui sulla terra, un’era in cui non ci saranno più né fame, né malattie, né sofferenze di alcun tipo, poiché le forze del male saranno state eliminate; non ci sarà più nemmeno la morte, per cui si vivrà in eterno in pace e armonia. Di questa nuova era, di questo regno di Dio, non faranno parte tutti, ma solo quelli ritenuti degni; il Messia stesso giudicherà i vivi ma anche i morti, poiché ci sarà la risurrezione dei morti, e coloro che saranno considerati meritevoli saranno accolti nel regno di Dio. Questo è il messaggio fondamentale della predicazione di Gesù e di Paolo.

 

Testimonianze – Ora, se vogliamo vedere la figura di Paolo dal punto di vista storico, abbiamo lo stesso problema che incontriamo nel caso di Gesù, ossia che non esistono documenti indipendenti, non cristiani, che ne parlino. Se per Gesù abbiamo la brevissima testimonianza di Giuseppe Flavio (si veda Vangeli 1), per Paolo non abbiamo nemmeno quella. A differenza di Gesù, però, abbiamo dei documenti importantissimi che ci parlano di Paolo e sono le sue lettere, che costituiscono i documenti cristiani più antichi. Le lettere risalgono agli anni 50-60 del I secolo e precedono la stesura dei Vangeli (scritti fra gli anni Settanta e la fine del secolo).

Nel Nuovo Testamento troviamo 13 lettere di Paolo, più la lettera agli Ebrei, inserita nel canone cristiano (molti secoli fa) perché ritenuta di Paolo. In realtà non si sa chi sia l’autore e nemmeno di preciso chi siano i destinatari; sicuramente dei cristiani, non necessariamente di origine ebraica. Lo stile di scrittura è però diverso da quello di Paolo. A parte questa, che comunque non afferma di essere di Paolo, le altre 13 lettere indicano Paolo come autore, ma secondo gli studiosi le lettere sicuramente autentiche sono 7: Romani, Galati, le due ai Corinzi, Filippesi, Filemone e la prima ai Tessalonicesi, che è anche la prima in assoluto, scritta intorno all’anno 50; l’ultima in ordine di tempo è quella ai Romani, databile intorno al 60. Vi è una curiosità riguardo alla seconda lettera ai Tessalonicesi, dove l’autore che dice di essere Paolo mette in guardia i destinatari contro altre lettere in circolazione attribuite a lui ma false; in realtà secondo la maggior parte degli studiosi (ma non tutti) a essere falsa è proprio quella lettera lì.

 

Falsificazione – All’epoca era piuttosto comune la falsificazione degli scritti. Dobbiamo tenere presente che parliamo di un mondo di analfabeti. Nell’impero romano (di cui facevano parte sia la Palestina sia le altre zone interessate dalla predicazione di Paolo e corrispondenti alle attuali Grecia, Turchia e Siria) le persone in grado di leggere erano forse il 10 per cento della popolazione (quindi il 90 per cento era analfabeta); le persone in grado di scrivere erano molte di meno, forse il 3 per cento. Questo perché scrivere non significa soltanto tracciare segni per rappresentare le parole ma anche e soprattutto saper comporre un testo corretto e in grado di trasmettere un messaggio. L’apprendimento di tale abilità richiede diversi anni, come vediamo anche noi oggi, e all’epoca soltanto chi proveniva da una famiglia benestante poteva avere il tempo e il denaro per studiare e apprendere tale tecnica. Per questo in tutta l’antichità gli scribi erano tenuti in alta considerazione: padroneggiavano un’arte difficile e riservata a pochi privilegiati. Questi pochi, inoltre, facevano anche dispetti, nel senso che falsificavano gli scritti, spacciandosi per autori famosi, il più delle volte per guadagnare soldi rivendendo quei testi.

Nel caso di Paolo, gli imitatori speravano di avere così maggiore visibilità. Se uno voleva dire qualcosa ai cristiani in generale o a una particolare comunità, scrivendo a proprio nome probabilmente non avrebbe avuto un grande riscontro; spacciandosi per Paolo, invece, avrebbe di sicuro dato grande risonanza a quella lettera. Così ci sono queste lettere pseudepigrafe: Colossesi, Efesini e seconda ai Tessalonicesi sono state scritte da tre autori diversi, mentre le due a Timoteo e quella a Tito sono opera del medesimo autore, diverso dagli altri tre; tutte queste lettere possono essere fatte risalire alla fine del I secolo, dunque un trentennio dopo la morte di Paolo.

Paolo sicuramente sapeva scrivere, anche se poi spesso dettava le sue lettere (forse per disturbi alla vista), aggiungendo solo alla fine i saluti e qualche commento, ma può essere annoverato in questa élite, per cui dobbiamo presumere che provenisse da una famiglia benestante. Non sappiamo però nulla di preciso, perché Paolo di sé non dice molto; d’altronde, il motivo della stesura di queste lettere non è la vita di Paolo ma una comunicazione alla comunità cristiana interessata.

 

Apostoli – A parte le lettere, l’altro testo fondamentale che parli di Paolo è costituito dagli Atti degli Apostoli, scritto dallo stesso autore del Vangelo di Luca. La stesura va collocata negli anni 90-95, almeno un quarto di secolo dopo la morte di Paolo. L’autore, anonimo come per gli altri Vangeli, è un greco cristiano probabilmente membro di una comunità fondata dallo stesso Paolo. Il libro si chiama Atti degli Apostoli ma in realtà i protagonisti sono Pietro (nella prima parte) e Paolo (nella seconda), mentre degli altri apostoli di parla ben poco.

Il testo degli Atti va preso con molta cautela, poiché alcune informazioni sono corroborate dalle lettere di Paolo, mentre altre non sono confermate, altre ancora sono smentite. Per esempio, secondo gli Atti, Paolo dopo la famosa conversione sulla via di Damasco (di cui si parla in San Paolo 2) come prima cosa va a Gerusalemme per incontrare gli apostoli. Invece Paolo, nella lettera ai Galati, dice di essere andato in Arabia (un termine piuttosto vago, probabilmente indicava l’attuale Giordania o Siria meridionale, non necessariamente la penisola arabica) e di essere tornato poi a Damasco; a Gerusalemme va soltanto dopo tre anni e vi si ferma quindici giorni a colloquio con Pietro e con Giacomo fratello di Gesù. Entrambi gli autori hanno i loro motivi per indicare questi dettagli contraddittori: Paolo vuole sottolineare che il suo messaggio gli è giunto direttamente da Gesù, senza l’intermediazione degli apostoli; l’autore degli Atti al contrario vuole evidenziare la concordia e l’armonia fra Paolo e gli apostoli. Se si leggono gli Atti, sembra che ci sia un’identità di vedute fra Pietro e Paolo. I discorsi attribuiti all’uno o all’altro sono identici, sembra che a parlare sia la stessa persona; in effetti è la stessa persona, cioè l’autore degli Atti, che ha questo intento di dimostrare  un accordo totale fra Pietro e Paolo.

 

Contraddizioni – Anche altri particolari degli Atti vengono contraddetti dalle lettere di Paolo. Per esempio, a Tessalonica (Salonicco), secondo gli Atti i giudei locali si oppongono violentemente a Paolo e lo inducono a fuggire dalla città, mentre Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi si rivolge a cristiani non ebrei e non menziona nulla del genere, anzi ricorda con piacere e con affetto il periodo trascorso a Tessalonica. Inoltre negli Atti i discorsi di Paolo si tengono quasi sempre nelle sinagoghe e si rivolgono agli ebrei del luogo, mentre le comunità fondate da Paolo sono formate da gentili.

Pertanto il testo degli Atti nel complesso non risulta molto attendibile. Diverse informazioni su Paolo ci provengono dagli Atti e non da lui stesso. Per esempio, sono gli Atti a informarci che Paolo è originario di Tarso, in Cilicia, che è cittadino romano e che ha studiato a Gerusalemme col famoso rabbino Gamaliel. Quest’ultima notizia è indirettamente smentita da Paolo, quando nella lettera ai Galati dice che nella Giudea lui non era conosciuto, nemmeno come aspetto fisico; se avesse studiato a Gerusalemme con Gamaliel di sicuro sarebbe stato conosciuto. Certamente Paolo conosceva a fondo le scritture ebraiche, nella versione greca dei Settanta, perché nelle lettere cita ripetutamente passi dei Salmi, di Isaia e di altri scritti biblici, ma non vi è motivo di credere che avesse studiato con Gamaliel. Questo dato è quasi sicuramente inventato per dare prestigio alla figura di Paolo.

 

Tarso – A questo intento vanno ascritte anche la cittadinanza romana, che conferiva vari privilegi ma era rara tra gli ebrei (fra l’altro comportava l’obbligo di compiere sacrifici alle divinità romane, un aspetto difficilmente accettabile per un ebreo osservante e zelante come Paolo), e la provenienza da Tarso. Infatti Tarso, capitale della Cilicia (regione dell’Anatolia meridionale, a nord dell’isola di Cipro), era sede di una nota scuola di retorica, perciò era un luogo frequentato da filosofi e letterati, insomma dall’élite intellettuale dell’epoca, per cui provenire da Tarso era un fattore di prestigio. Allora è probabile che queste notizie siano inventate per abbellire la figura di Paolo.

Se non era di Tarso, Paolo era probabilmente di Antiochia, menzionata spesso negli Atti come sede delle sue attività e punto di partenza o di arrivo dei suoi viaggi. Antiochia (oggi Antakya, in Turchia presso il confine con la Siria) era la capitale della provincia romana di Siria ed era la terza più grande città dell’impero, dopo Roma e Alessandria d’Egitto. Ad Antiochia vi era una nutrita comunità ebraica ed è perciò verosimile che Paolo provenisse da lì. Di sicuro Paolo era un ebreo della diaspora (all’epoca gli ebrei della diaspora erano più numerosi di quelli in Palestina), di lingua greca, forse con un doppio nome, uno della tradizione ebraica, Shaùl (Saulo), e uno greco-romano, Paolo (Pávlos), con cui firma le sue lettere. Anche il nome ebraico di Paolo è indicato dagli Atti e non da Paolo stesso.

 

Prigionia – Il particolare della cittadinanza romana riemerge al termine degli Atti quando, in un racconto che peraltro sembra del tutto inventato o quanto meno fortemente esagerato, Paolo viene arrestato a Gerusalemme, poi incarcerato a Cesarea (sede del governatore romano della Giudea) per un paio d’anni, ma alla fine si appella al fatto di essere cittadino romano e di avere il diritto di essere giudicato a Roma, dall’imperatore stesso. Per questo viene condotto a Roma, con un viaggio per mare assai travagliato, comprendente un naufragio a Malta, dopo di che il racconto si conclude con Paolo che rimane a Roma per due anni in una casa, in quelli che oggi definiremmo arresti domiciliari, in attesa di essere giudicato. Ma il testo si conclude così e non si sa come vada a finire la vicenda.

Nella lettera ai Romani, Paolo prevede di recarsi a Roma e da lì in Spagna. Secondo alcuni testi successivi, Paolo effettivamente viene liberato e va in Spagna; secondo altri, va a predicare nell’isola di Creta e in altre località della Grecia; la tradizione più nota è quella che lo vuole nuovamente arrestato a Roma e condannato a morte per decapitazione da Nerone, dopo un colloquio di Paolo con l’imperatore, in cui Paolo ha un tono arrogante nei confronti di Nerone. Si tratta comunque di resoconti risalenti alla fine del II secolo o più tardi ancora, per cui non sono attendibili. Così pure il carteggio fra Paolo e Seneca, due personaggi vissuti nello stesso periodo ed entrambi secondo la tradizione messi a morte da Nerone, è un’invenzione del III secolo. Pertanto dal punto di vista storico non si può dire nulla di preciso riguardo alla fine della vita di Paolo.

 

Persecutore – Non sappiamo niente nemmeno della vita di Paolo prima della conversione: non ne parlano né l’interessato né gli Atti. L’unico dettaglio, ammesso dallo stesso Paolo, è che era un persecutore dei seguaci di Gesù. Non è chiaro con quale autorità, visto che Paolo non ricopriva cariche pubbliche; secondo gli Atti, aveva ricevuto un’autorizzazione in tal senso dal Sinedrio e dal sommo sacerdote. Fatto sta che Paolo si impegna per denunciare e fare arrestare i seguaci di Gesù, colpevoli di ritenere Gesù il Messia atteso dagli ebrei. Il motivo di questa ostilità è comprensibile: Paolo era un ebreo osservante, un fariseo, ed era un apocalittico. Attendeva il Messia, che doveva sconfiggere le forze del male e inaugurare la nuova era. Attribuire questo ruolo a Gesù, come facevano i suoi seguaci, era per Paolo una bestemmia. Gesù non aveva le caratteristiche del Messia; avrebbe dovuto sconfiggere innanzi tutto gli alleati delle forze del male, ossia i romani, invece era stato dai romani messo a morte come un delinquente. Non solo, ma le modalità della morte erano particolarmente ignominiose: un passo del Deuteronomio (21,23), ben noto a Paolo, afferma che è maledetto da Dio chi viene appeso a un legno. Si indica così l’impiccato, ma anche Gesù crocifisso viene appeso a un palo di legno. Pertanto vedere in lui il Messia è secondo Paolo un abominio.

 

Conversione – Il suo atteggiamento muta completamente dopo il famoso episodio sulla via di Damasco. A quel punto Paolo da persecutore diventa un seguace di Gesù e comincia a predicare un messaggio a suo dire trasmessogli direttamente da Gesù. Si considera pertanto un apostolo («inviato») di Gesù.

Sarebbe simpatico avere un resoconto del primo incontro a Gerusalemme fra Paolo e Pietro; quest’ultimo si vede arrivare lì Paolo, che fino a poco tempo prima voleva farli arrestare tutti, mentre adesso si dichiara non solo seguace di Gesù ma anche portatore di un messaggio leggermente diverso da quello predicato da Pietro e dagli altri apostoli, i quali a differenza di Paolo hanno conosciuto bene Gesù. In un incontro successivo, avvenuto intorno al 50 e chiamato Concilio di Gerusalemme, vengono divisi i compiti: Paolo andrà a predicare ai gentili (cosa che peraltro faceva da tempo), Pietro e gli altri agli ebrei. Ma come procedeva la predicazione di Paolo? Se ne parla in San Paolo 2.

 

 

 

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