Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                                                     Pagina iniziale > Religioni > San Paolo 2

RISORTO CHI?

SAN PAOLO E LA NASCITA DEL CRISTIANESIMO (II)

 

 

Paolo può essere considerato il fondatore del Cristianesimo per due motivi, uno teorico e uno pratico. Quello teorico è il concetto fondamentale del Cristianesimo, legato alla risurrezione di Gesù (se ne parla più avanti), mentre quello pratico è che Paolo compie diversi viaggi per predicare l’evangelo («buona novella») e contribuisce attivamente a creare diverse comunità cristiane.

Il modo di operare di Paolo era legato probabilmente al suo mestiere di fabbricante di tende. All’epoca le tende si confezionavano con pelli di capra, un tessuto piuttosto ruvido chiamato cilicio perché proveniente dalla Cilicia (e in seguito usato per la penitenza). Il particolare è indirettamente confermato da Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi, dove parla di un lavoro diurno e notturno, grazie al quale era riuscito a non pesare economicamente su questi suoi seguaci. Si capisce che parla di un lavoro manuale. Pertanto Paolo forse si recava in una città, assieme a qualche collaboratore, e apriva una bottega artigianale. In questo modo si inseriva nella vita della città, conosceva gente e si faceva conoscere, e poteva predicare il suo evangelo. Poi si spostava in un’altra città e ripeteva l’operazione.

 

Disavventure – Se la predicazione riscontrava successo, poiché nascevano diverse comunità cristiane, le cose non andavano sempre bene: Paolo stesso (in 2 Corinzi 11,24-28) riferisce: «Dai Giudei ho subìto per cinque volte quaranta colpi meno uno, per tre volte le verghe, una volta fui lapidato, tre volte naufragai passando una notte e un giorno negli abissi. Sovente in viaggio tra pericoli di fiumi, pericoli di predoni, pericoli dalla mia razza, pericoli dai gentili, pericoli in città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli tra falsi fratelli, tra fatiche e stenti, veglie frequenti, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità». Inoltre viene arrestato e incarcerato (le lettere ai Filippesi e a Filemone sono scritte dal carcere, forse da Efeso).

Oltre a tutto questo bisogna considerare il contrasto di fondo tra Paolo e la comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme, ossia con Pietro, Giovanni, Giacomo fratello di Gesù e gli altri apostoli. Il contrasto si incentra sulla necessità o meno di imporre ai gentili seguaci di Cristo la Legge ebraica, ossia il rispetto delle norme che ancora oggi caratterizzano gli ebrei: la circoncisione, i precetti alimentari, l’osservanza del sabato e delle festività ebraiche e così via.

Questo interrogativo emerge quando, già prima di Paolo, cominciano a diventare seguaci di Gesù anche dei gentili (che si chiamano così non perché siano cortesi ma perché costituiscono le genti, ossia i popoli diversi da quello ebraico). Questa innovazione fa la fortuna del Cristianesimo, che infatti si diffonde non nel mondo ebraico ma in quello pagano. La novità di Paolo non consiste però tanto in questo coinvolgimento dei non ebrei, quanto nel rifiuto della Legge ebraica. Nella visione apocalittica si riteneva che la fine del mondo riguardasse ovviamente tutti, non solo gli ebrei, ma che per conquistare la salvezza i gentili si sarebbero dovuti prima di tutto convertire diventando ebrei ed entrando quindi a far parte del popolo eletto. Invece secondo Paolo la Legge non serve per la salvezza (se ne riparla più avanti). Pertanto, secondo Pietro e gli altri, i gentili devono seguire la Legge ebraica, secondo Paolo no.

 

Contrasti – Questi contrasti emergono nelle lettere di Paolo. Nella seconda lettera ai Corinzi Paolo si difende da coloro che lo accusano di predicare un messaggio diverso da quello di Gesù, di parlare di un Gesù differente; Paolo non dice chi lo accusi, sembrerebbe qualcuno nella città di Corinto, ma è più probabile che si tratti del gruppo di Gerusalemme. Inoltre Paolo scrive la lettera ai Galati per rimproverare i suoi interlocutori (i Galati erano una popolazione celtica stabilitasi nel centro dell’Anatolia) di essersi fatti convincere da qualcuno, dopo la predicazione di Paolo, a farsi circoncidere e a seguire le leggi ebraiche, disattendendo quanto affermato dallo stesso Paolo.

Nella stessa lettera ai Galati è narrato questo episodio: Pietro si reca ad Antiochia, dove si trova anche Paolo, e inizialmente mangia con i gentili, ossia quasi certamente trasgredisce le norme alimentari ebraiche. Poi, quando arrivano da Gerusalemme degli inviati di Giacomo (e a quanto pare Giacomo fratello di Gesù era intransigente su questo punto), Pietro va a mangiare con loro evitando i gentili. Paolo gli rinfaccia questo comportamento contraddittorio, accusandolo di fare distinzione fra cristiani ebrei e non ebrei, e gli dice (Galati 2,14): «Se tu, giudeo, vivi da gentile e non da giudeo, perché costringi i gentili a farsi giudei?»

È chiaro pertanto che Pietro è d’accordo con Giacomo e gli altri sulla necessità di estendere la Legge ebraica ai gentili. Tale contrasto con Paolo è alterato negli Atti degli Apostoli, perché lì Pietro si dice sostanzialmente d’accordo con Paolo e cerca di fare da mediatore tra le due posizioni, mentre sono degli altri ebrei non meglio precisati che vogliono imporre ai gentili le leggi di Mosè. Nella realtà l’opposizione tra i due doveva essere piuttosto forte.

Perciò, fra disavventure di ogni genere e contrasti col gruppo di Gerusalemme, incarcerazioni e quant’altro, Paolo doveva essere molto motivato per andare avanti. E in effetti nella lettera ai Filippesi si dice incerto se augurarsi la morte (e utilizza la famosa espressione diventata celebre nella versione latina, cupio dissolvi, «desidero dissolvermi») o proseguire la sua attività di predicazione.

 

Via di Damasco – Ma la motivazione doveva essere davvero forte, traendo origine dal famoso episodio sulla via di Damasco. Anche il fatto che fosse sulla via di Damasco ci viene raccontato dagli Atti e non da Paolo, ma possiamo prenderlo per buono. Secondo gli Atti, Paolo si stava recando a Damasco per denunciare e far arrestare i seguaci di Gesù di quella città. A un certo punto avviene questo episodio in cui gli appare Gesù che gli dice: «Perché mi perseguiti?» eccetera. Paolo non entra nei dettagli (quando scrive le sue lettere sono trascorsi ormai vent’anni e comunque i suoi interlocutori dovevano avere sentito la storia più volte), dice solo che gli è apparso Gesù risorto. Negli Atti l’episodio è raccontato tre volte, la prima dal narratore, le altre due dallo stesso Paolo, ma sempre con particolari diversi e contraddittori (per esempio, una volta gli accompagnatori di Paolo non vedono niente ma sentono la voce, un’altra volta vedono una luce ma non capiscono le parole). Come possiamo spiegare questo evento?

 

Epilessia – Con gli occhi di oggi, è chiaro che Paolo soffrisse di epilessia. Nella seconda lettera ai Corinzi lamenta di essere afflitto da una malattia che non descrive ma che definisce «una spina nella carne», un’espressione utilizzata all’epoca per indicare quella che noi oggi chiamiamo epilessia. (Non è l’unico, tra i fondatori di religioni: anche Maometto ne soffriva.) Sappiamo inoltre che quando l’epilessia colpisce il lobo temporale del cervello provoca visioni mistiche, allucinazioni dal contenuto religioso. Tale contenuto dipende dalle convinzioni della persona ed è legato alla religione praticata: un cristiano vedrà Gesù o la Madonna, un induista qualche divinità indiana (ma non viceversa).

Oggi sappiamo inoltre che, se in seguito a traumi o malattie vi è un danno cerebrale al lobo temporale sinistro, si registra un cambiamento di personalità e il soggetto manifesta una religiosità eccessiva, vedendo tutto in chiave religiosa; fra gli altri sintomi si riscontrano ipergrafia (il soggetto scrive molto) e senso di un destino importante, di una missione da compiere nel mondo. Possiamo riconoscere Paolo in questa breve descrizione; un neuroscienziato di oggi forse ipotizzerebbe per Paolo un danno cerebrale di questo tipo.

Restando all’epilessia, è frequente dunque la comparsa di allucinazioni. Come sappiamo, le allucinazioni sono equivalenti ai sogni e il loro contenuto dipende dai ricordi e dalle esperienze del soggetto, con la differenza che avvengono nello stato di veglia, per cui ci sono immagini o suoni irreali (come nei sogni) ma sovrapposti alla realtà circostante, per cui si percepisce la stanza in cui ci si trova oppure il paesaggio e allo stesso tempo immagini o suoni creati dal cervello. Per chi non sa che possono succedere queste cose, l’effetto è sconcertante quando non spaventoso.

 

Spiegazione – Paolo non è in grado di spiegare ciò che gli è successo. Ha molte scusanti, perché all’epoca nessuno sarebbe stato in grado di spiegarglielo. Paolo si stupisce perché è convinto di avere avuto davanti a sé Gesù. In quel momento Gesù è ormai morto forse da un paio d’anni. Se, come ritiene la maggior parte degli studiosi, Gesù muore nell’anno 30, questo episodio di Paolo va collocato intorno al 32-33. Altrimenti si può arrivare fino al 37-38; di sicuro prima dell’anno 40 perché Paolo menziona un re dei Nabatei che muore nel 40, e questo episodio avviene quando il re è ancora in vita.

Paolo dunque non sa spiegarsi come faccia Gesù, ormai morto, ad apparirgli davanti in quel modo. Oggi noi possiamo stupirci del suo stupore: se le allucinazioni sono analoghe ai sogni, noi nei sogni ci vediamo spesso parlare con persone defunte. Ma Paolo non può sapere nulla del genere. L’unica spiegazione che riesca a trovare è che Gesù sia risorto.

È probabile che si parlasse già di una risurrezione, nel senso che qualcuno forse affermava di avere visto Gesù vivo dopo la morte. Anche questo oggi non stupisce: ci sono casi commoventi di persone che hanno visto, e addirittura abbracciato, il coniuge o un figlio defunti. E quando si tratta di persone famose è facile che succeda qualcosa del genere. Al di fuori del contesto religioso, anni fa negli Stati Uniti non poche persone erano convinte di aver visto Elvis Presley vivo dopo la morte. Perciò possiamo presumere che questa voce circolasse già. Però fino ad allora nessuno aveva dato una spiegazione di questo fatto. La spiegazione viene data da Paolo.

 

Messia – Paolo infatti si convince che Gesù sia davvero risorto e partendo da questa constatazione ragiona a ritroso, più o meno in questo modo: Gesù è risorto, ovviamente perché Dio lo ha fatto risorgere. Ma per quale motivo? Che cosa ha fatto di speciale Gesù per meritarsi una simile ricompensa? Evidentemente Gesù era una persona speciale; forse allora hanno ragione questi suoi seguaci nell’affermare che Gesù fosse il Messia. Ma se era il Messia, perché è morto?

Infatti nelle scritture ebraiche non è previsto un Messia sofferente, tanto meno un Messia che muore. Allora Paolo collega questa morte all’usanza ebraica di sacrificare un animale nel tempio per giustificarsi davanti a Dio, ossia per “fare la pace” con Dio dopo avere commesso dei peccati. Il sangue dell’animale sacrificato “ricopriva” i peccati commessi. Era come ripagare un debito, anche in senso monetario perché l’acquisto dell’animale da sacrificare era una spesa non di poco conto.

La spiegazione di Paolo diventa il cardine del Cristianesimo: Gesù ha compiuto il sacrificio supremo, è morto per espiare i peccati, non suoi ma dell’intera umanità. È come se Gesù avesse ripagato di debiti di tutti. La sua morte e ancor più la sua risurrezione costituiscono dunque il fondamento del Cristianesimo: «Or, se Cristo non è risorto, è vana dunque la nostra predicazione e vana è pure la vostra fede» (1 Corinzi 15,14).

 

Apocalittica – La spiegazione di Paolo va inserita nel contesto apocalittico, secondo cui il mondo è dominato dalle forze del male. Fra queste le più importanti sono la morte e il peccato, che vanno intese non come cose che succedono ma come forze demoniache, entità malvagie che si oppongono a Dio e cercano di impadronirsi degli esseri umani, generalmente riuscendoci. Gesù con la sua morte ha sconfitto il peccato (perché si è offerto in sacrificio per l’espiazione) e con la sua risurrezione ha sconfitto la morte (perché tornando in vita ha dimostrato di essere più forte della morte stessa). Così vengono sconfitte le principali forze del male e ha inizio la nuova era di pace e prosperità. Perciò Gesù è il Messia perché ha sconfitto le forze del male, come previsto. Il fatto poi che Gesù sia risorto è una conferma di questa fine dei tempi: poiché è prevista la risurrezione dei morti, Gesù rappresenta la «primizia» della risurrezione (1 Corinzi 15,20), è il primo a risorgere, e fra poco risorgeranno anche tutti gli altri.

 

Differenze – Per questa spiegazione Paolo può essere considerato il fondatore del Cristianesimo. Il messaggio di Gesù e quello di Paolo naturalmente sono molto simili, se non altro perché sono messaggi apocalittici: il mondo conosciuto sta per finire, ciò che conta adesso è guadagnarsi l’accesso al regno di Dio. Però ci sono alcune differenze importanti.

In primo luogo, Paolo indica chiaramente in Gesù il Messia che deve arrivare, anzi tornare. È un Messia strano, diverso da quello che ci si attendeva, ma evidentemente il modo di pensare di Dio è differente da quello umano, e allora il Messia è arrivato, è morto, è risorto, adesso è parcheggiato da qualche parte in cielo e attende di tornare fra non molto. Paolo nelle sue lettere si dice convinto che lui stesso e i suoi seguaci saranno ancora vivi quando questo succederà.

Gesù invece indica il Messia con la famosa espressione «figlio dell’uomo», un’espressione aramaica che Paolo non usa mai e che ha diversi significati. Gesù con questa espressione indica chiaramente il Messia, ma non è chiaro se intenda sé stesso o (più probabilmente) qualcun altro; in ogni caso Gesù non specifica chi sarà questo Messia.

Una seconda differenza risiede nel ruolo di Gesù. Secondo lo stesso Gesù, il suo compito è duplice: annunciare la fine del mondo e l’avvento del Messia e inoltre indicare la corretta interpretazione della Legge ebraica. Invece secondo Paolo il ruolo di Gesù è legato alla sua morte e risurrezione. Il Gesù di Paolo è slegato dal Gesù storico; quello che Gesù ha detto e fatto durante la sua vita è secondario, ciò che conta sono la morte e la risurrezione.

 

Salvezza – Infine, la differenza fondamentale riguarda la via verso la salvezza. Se il mondo conosciuto sta per finire, la preoccupazione di tutti dovrebbe essere la conquista della salvezza, ossia di un posto nel regno di Dio. E come si fa? Secondo Gesù, bisogna seguire la Legge. Nei Vangeli leggiamo che, quando qualcuno domanda che cosa debba fare per salvarsi, Gesù invariabilmente risponde «segui la Legge, osserva i comandamenti». Gesù riassume la Legge ebraica (che si compone di 613 comandamenti) in due sole norme: quella di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima eccetera (richiamo a un passo del Deuteronomio) e quella di amare il prossimo come sé stessi (richiamo a un passo del Levitico, citato anche da Paolo). Pertanto la salvezza passa attraverso l’osservanza della Legge. Questo implica che i non ebrei, per salvarsi, devono diventare ebrei, ossia rispettare questa Legge. Così infatti predicavano Pietro e gli altri discepoli di Gesù.

Secondo Paolo, invece, la Legge non serve per la salvezza. Per accedere al regno di Dio bisogna avere fede nella morte e risurrezione di Gesù. Questo requisito è necessario ma anche sufficiente, se si ha questa fede basta così. La Legge non serve, perché secondo Paolo la Legge permette di conoscere il peccato ma non di evitarlo. Poiché le forze del male dominano il mondo, gli esseri umani sono per così dire obbligati a non rispettare la Legge, a essere peccatori. Per rispettare pienamente la Legge bisognerebbe eliminare dal mondo le forze del male, ma questo può farlo soltanto il Messia. Invece Gesù, come si è visto, ha sconfitto il peccato, per cui la fede in Gesù permette di imitarlo e conquistare la salvezza.

Non è che la Legge ebraica non valga nulla; semplicemente non serve per la salvezza. Secondo Paolo (Galati 2,21), se la Legge procura la salvezza, allora Gesù è morto inutilmente. Solo con la fede in Gesù ci si salva. Pertanto chi non è ebreo non è tenuto a rispettare la Legge, deve solo avere fede nella morte e risurrezione di Gesù. E così infatti predicava Paolo. Perciò il Cristianesimo che emerge nei secoli successivi, abbandonata la prospettiva apocalittica, si fonda sull’opinione di Paolo e non su quella di Gesù, poiché la Legge ebraica non viene osservata dai cristiani.

Tutto questo complesso discorso nasce insomma da quell’episodio allucinatorio in cui Paolo vede davanti a sé Gesù risorto. La risurrezione dunque è nella testa di Paolo. Volendo concludere con un commento ironico, tutta la storia della risurrezione nasce da una crisi epilettica.

 

 

Ø Vai a San Paolo 1

Ø Vai a Vangeli 1

Ø Torna a Religioni

Ø Torna alla Pagina iniziale