ASTRI
Per tutta l’antichità, e in tutte le società agricole, vi fu una costante osservazione del cielo, sia per il calcolo del tempo e delle stagioni, sia per trarre indicazioni sugli eventi naturali e umani, ritenendo la posizione degli astri un segno della volontà divina: capire tali segni voleva dire prevedere l’andamento delle cose. Infatti osservando il cielo si nota una regolarità periodica nella posizione degli astri, e anche l’attività agricola necessita di regolarità nel suo ciclo di aratura, semina, crescita delle piante, raccolto; così si pensava che vi fosse un rapporto fra la regolarità del cielo e quella della terra e che pertanto fosse possibile capire dai «segni» celesti l’andamento futuro degli eventi naturali e umani. In Cina, in India, in Medio Oriente, in Europa, nelle Americhe, regnanti e sacerdoti, mercanti e agricoltori si affidavano alla divinazione per prendere decisioni riguardo alla propria vita personale e agli affari pubblici e privati. Nell’ambito delle pratiche divinatorie l’astrologia occupava quasi sempre la posizione di preminenza, ma presagi buoni e cattivi si traevano anche dall’esame del comportamento umano in privato e in pubblico, dallo studio dettagliato della vita degli animali, dall’analisi dei visceri e dei feti degli animali e degli esseri umani, e in base a tutto questo si mettevano a punto predizioni in vari ambiti della vita individuale e collettiva.
Mesopotamia — L’astrologia che conosciamo noi oggi trae origine dall’antica Mesopotamia. I babilonesi definirono nel dettaglio gli influssi dei vari astri-divinità, giorno per giorno: Shàmash (il Sole) influiva sullo spirito; Sin (la Luna) sul corpo; Nergàl (Marte) sul sangue; Nabu (Mercurio) favoriva l’intelligenza; Mardùk (Giove) infondeva temperanza; Ishtàr (Venere) trasmetteva voluttà; mentre Ninurta (Saturno) provocava stanchezza del corpo e pesantezza dello spirito, per cui il sabato (come è spiegato nell’articolo Settimana) era considerato nefasto e in questo giorno erano vietate molte attività, per esempio l’amministrazione della giustizia, e così fu trasformato in giorno di riposo.
Predire il futuro — Osservando il cielo e i fenomeni naturali, gli indovini cercavano di predire il futuro basandosi sul passato e sul presente. La loro attività riguardava in prevalenza il sovrano e gli affari di Stato, ma la divinazione veniva praticata anche per gli episodi minori della vita quotidiana e si fondava su due presupposti: da un lato l’esistenza di leggi cicliche che governassero tanto i movimenti degli astri quanto gli eventi terreni e umani, dall’altro lato il valore di premonizione di ogni episodio o fenomeno osservato. Generalmente gli indovini, per interpretare i presagi, andavano alla ricerca dei fenomeni insoliti e anomali, poiché questi denotavano qualcosa di contrario all’ordine stabilito delle cose e rappresentavano pertanto segni di cattivo auspicio; per esempio le eclissi erano un po’ dappertutto considerate annunciatrici di disgrazie. Va osservato che nell’antica Mesopotamia i presagi non erano considerati indicazione di un fato ineluttabile. Potevano anzi essere controbattuti, sia da presagi di segno opposto, sia da rituali specifici. Pertanto la pratica divinatoria era piuttosto una base per scegliere il momento giusto o il modo migliore per intraprendere una data azione che non una vera e propria previsione del futuro.
Caldei e greci — L’astrologia mesopotamica era nota in tutto il mondo antico, in particolare grazie ai caldei, popolazione semitica poi fusasi con i babilonesi; nell’antico Medio Oriente erano chiamati caldei gli astrologi e gli indovini mesopotamici, anche se tale popolazione in realtà non esisteva più. Le conoscenze astrologiche dei caldei si diffusero in tutto il mondo greco-romano e arrivarono anche in India, da dove in seguito, con i missionari buddhisti, giunsero fino in Cina, nel Tibet, in Giappone e nel Sudest asiatico. Furono però gli antichi greci a incominciare a osservare il cielo per capire la struttura del cosmo più che per trarne indicazioni sul futuro, ossia a praticare l’astronomia più che l’astrologia, anche se il geografo greco Strabone (circa 63 a.C.-24 d.C.) evidenziava già nei babilonesi la distinzione fra astrologi-indovini e astronomi veri e propri.
Filosofi greci — I filosofi greci riuscirono a capire molte cose. Si è già menzionata (nell’articolo Astrologia) la sfericità della Terra, dedotta da Pitagora e da altri studiosi. Aristarco di Samo (circa 310-230 a.C.) capisce che il Sole è più grande della Terra; calcola, seppure in modo inesatto, la distanza della Terra dalla Luna e dal Sole e afferma che è il nostro pianeta a ruotare attorno al Sole e non viceversa. Questa concezione però non si diffonde, perché va contro la percezione comune e le concezioni religiose; lo stesso Aristarco viene accusato di empietà per avere disturbato «il riposo di Estia» (la dea Vesta dei romani), il fuoco divino racchiuso nella Terra. Già Aristotele (384-322 a.C.), il filosofo greco il cui pensiero avrebbe avuto un’influenza enorme per almeno 1700 anni, aveva respinto la teoria eliocentrica, sostenendo che gli esseri umani non possono vivere su una Terra dotata di movimento e di rotazione, che essi non percepiscono. Inoltre, secondo Aristotele, il moto della Terra si arresterebbe senza l’applicazione di una forza, a causa dell’attrito; nel mondo greco e poi romano si dà per scontato l’attrito perché natura abhorret vacuum, la natura ha orrore del vuoto, e la Terra non può quindi muoversi nel vuoto.
Sfere celesti — La concezione aristotelica, che avrebbe costituito il fondamento della cosmologia per molti secoli nel mondo europeo e mediterraneo, prevedeva una serie di calotte sferiche attorno alla Terra (le sfere celesti) costituite da un elemento tipico dei cieli, chiamato etere o quinta essenza, diverso dai quattro elementi terreni (fuoco, aria, acqua, terra); questi ultimi danno origine a moti lineari limitati, mentre gli astri hanno moti circolari eterni. I corpi celesti si muovono pertanto in uno strato superiore dove la loro forma è una sfera perfetta e la loro traiettoria un cerchio perfetto (non dimentichiamo che per i greci il cosmo era caratterizzato dall’ordine; kósmos significa appunto «ordine»); il moto primario deriva dalla sfera più esterna, sede delle stelle immutabili e della potenza divina. Queste concezioni si innestarono sulla visione del mondo degli antichi greci, caratterizzata da un pronunciato fatalismo: il destino era già segnato e ineluttabile, non si poteva fare niente per evitare ciò che era già stato stabilito dal fato; nemmeno gli dèi potevano opporvisi. Così l’astrologia in versione greca assunse una connotazione di meccanicismo, di determinismo assoluto: ciò che stava scritto negli astri indicava l’esito già stabilito delle vicende umane. Va osservato che la concezione astrologica era diffusa tra il popolo, mentre l’atteggiamento di conoscenza astronomica e di studio degli astri per capire la natura era dominio dei pochi filosofi, che oggi chiameremmo scienziati, ed era condiviso soltanto da una ristretta élite.
Conoscenze perdute — Con la caduta dell’Impero romano d’occidente nel V secolo d.C. le conoscenze degli antichi greci vanno in gran parte perdute, almeno nel mondo europeo e mediterraneo (in India, dove era giunta anche l’astronomia-astrologia greca, si sapeva che la Terra è una sfera in rotazione quotidiana su sé stessa). Ma già molto tempo prima, con la conquista della Grecia da parte dei macedoni di Alessandro Magno (IV secolo a.C.), era andato perduto l’atteggiamento dei filosofi greci ora ricordato, rivolto allo studio dei corpi celesti e della natura in genere per capirne il funzionamento, e si era ritornati a un’osservazione dei fenomeni e degli astri per scopi divinatori. Nell’Egitto ellenistico (IV-I secolo a.C.), e in particolare ad Alessandria, importante centro di studi astronomici, interpellato anche da Giulio Cesare per la riforma del calendario, nasce lo zodiaco come è conosciuto ancora oggi. Se ne parla più diffusamente nell’articolo Zodiaco.
Due interpretazioni — Riepilogando, l’astrologia ha sempre avuto due filoni di interpretazione. La versione più rigorosa, risalente all’antica Grecia, presuppone un universo meccanicistico, regolato cioè da leggi ferree e ineluttabili; gli astri segnalano gli eventi ma anche li provocano, e non è possibile sottrarsi a questo fato prestabilito. Questo atteggiamento nega alla divinità la possibilità di intervento e all’uomo il libero arbitrio, e per questo è stato condannato per esempio dal Cristianesimo e dall’Islam. Secondo l’altra interpretazione, che come abbiamo visto è di origine babilonese, gli astri indicano ciò che potrà accadere, ma una volta individuato un cattivo presagio si può provare, mediante preghiere, scongiuri e riti, a evitarne la realizzazione. L’astrologia è sempre stata condannata dalle principali religioni poiché presuppone, in maniera esplicita o implicita, l’esistenza di forze e influssi non contemplati dalle dottrine religiose e quindi non governati dalle caste sacerdotali. Inoltre la preparazione degli oroscopi e l’interpretazione dei presagi sono attività molto simili alla magia, considerata di origine diabolica. Pertanto l’astrologia è stata sempre considerata fonte di peccato (Sant’Agostino la definiva fornicatio animae), ma ciò non sembra averne ostacolato la diffusione. L’astrologia è praticata ancora al giorno d’oggi, anche se ha perso da tempo l’importanza pubblica che aveva nel passato e per la maggior parte delle persone è poco più di una divertente curiosità. Tuttavia non pochi sono tuttora convinti della validità dell’astrologia e si affidano a oroscopi quanto più possibile personalizzati per prendere decisioni riguardo alla propria vita.
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