RELIQUIE
Chi abbia osservato, nella basilica di Sant’Antonio a Padova, la reliquia che è considerata la lingua del santo, probabilmente ha provato una certa ripugnanza. Per un non credente è quasi incomprensibile che qualcuno ritenga di trarre beneficio dal toccare o anche solo dal guardare dei resti più o meno bene conservati del corpo di un uomo vissuto diversi secoli fa. Una tale convinzione presuppone infatti una serie di credenze, a cominciare da una fede religiosa; in questo caso si tratta del Cattolicesimo, ma il culto delle reliquie è diffuso anche nel Buddhismo e in misura minore in altre tradizioni. In secondo luogo è necessaria la convinzione che i resti del corpo di un santo siano degni di venerazione e possano apportare al fedele benefici sotto forma di miracoli, guarigioni o protezione contro il male o le sventure. Questa credenza è di tipo magico e in particolare è legata alla cosiddetta magia contagiosa (si veda l’articolo Magia): si ritiene che vi sia un effetto diretto del santo sulla realtà e inoltre che ogni parte del corpo di tale santo e ogni oggetto a lui appartenuto possano rappresentare l’intera sua persona e agire allo stesso modo. Così un osso, un capello, un capo di vestiario, addirittura un’orma possono rendere di nuovo presente il santo e, tramite il contatto (contagio) fisico, consentire ai fedeli di attingere alla sua potenza e al suo rapporto privilegiato con il soprannaturale.
Santità — La santità è considerata una comunione particolarmente intensa dell’uomo con la divinità. Per condividere il culto delle reliquie è inoltre necessario convincersi della santità particolare di quella persona, che in genere è sancita dalle autorità ecclesiastiche; e naturalmente ci vuole la certezza che quei resti appartengano proprio al santo venerato. Tuttavia questa certezza quasi sempre è soltanto soggettiva. Va infatti osservato che per la maggior parte delle reliquie vi è uno scarto di diversi secoli fra la presunta origine di questi oggetti e il momento in cui ha inizio la loro venerazione. Per esempio, nel 475 fu portato a Costantinopoli il corpo di Santo Stefano, primo martire, morto presumibilmente nell’anno 33; fino al «ritrovamento», di quel corpo non si era saputo mai nulla. Insomma le reliquie compaiono quando vi è l’interesse di possederle o utilizzarle, non prima; non avviene mai che si custodisca per lungo tempo una reliquia e soltanto in un secondo momento si incominci a venerarla. Tutto questo non corrobora certo l’autenticità di queste sacre spoglie.
Autenticità — Con i moderni metodi scientifici (per esempio l’analisi del Dna) dovrebbe essere possibile stabilire l’autenticità o la falsità delle reliquie. In tal caso si scoprirebbe che le reliquie autentiche sono poche e costituiscono l’eccezione piuttosto che la regola. Per esempio, di recente le spoglie dell’evangelista Luca, conservate nella basilica di Santa Giustina a Padova, sono state sottoposte all’esame del Dna e alla datazione con radiocarbonio, e si è scoperto che i resti appartengono a un uomo di origine siriana vissuto attorno al 300 d.C. Un cadavere antico, sicuramente, ma nulla a che vedere con l’evangelista. (Senza contare che i Vangeli sono in realtà anonimi, e i nomi degli autori sono stati aggiunti successivamente, per cui è impossibile avere il cadavere di un evangelista, compreso il «veneziano» San Marco.) Simili datazioni sono rare perché in realtà pochi hanno interesse a compiere un’indagine di questo genere. I non credenti non riconoscono il concetto di santità, e allora che quel particolare cranio o femore sia davvero del santo venerato oppure no è indifferente, non ci si aspetta assolutamente nulla da resti umani di qualsiasi tipo. Per un credente l’importante è la convinzione dell’autenticità, non l’autenticità stessa; la conferma dell’autenticità non potrebbe aggiungere niente alla fede, una smentita non farebbe che complicare le cose. D’altro canto, se una comunità di fedeli accetta di venerare una certa persona, il fatto che la tomba o i resti umani di quella persona siano reali oppure no diventa, per i fedeli, irrilevante. Per esempio, ebrei, cristiani e musulmani rendono omaggio, nella città palestinese di Hebron (in arabo Al-Khalil), alla tomba di Abramo, cioè al sepolcro di un personaggio di cui non vi sono testimonianze storiche o archeologiche e che pertanto forse non è mai esistito. Ma questo in realtà ha scarsa rilevanza: per un credente, la cosa importante è la fede, non la verità storica. Va osservato che situazioni analoghe si riscontrano anche al di fuori dell’ambito religioso. Per esempio, a Verona si può andare in «pellegrinaggio» alla casa di Giulietta, ossia alla dimora di un personaggio letterario, mentre ad Amalfi si può ammirare un monumento in bronzo a Flavio Gioia, presunto inventore della bussola, in realtà mai esistito.
Reliquie non cristiane — Prima di esaminare il culto delle reliquie nel Cristianesimo, vediamo come viene considerato in altre tradizioni. Già nell’antica Grecia vi era qualcosa di simile, nell’ambito del culto degli eroi. In varie parti del mondo greco erano conservati resti che si ritenevano appartenuti ai principali personaggi della mitologia: ad Argo erano conservate le ossa di Tantalo, a Lesbo la testa di Orfeo, ad Atene le ossa di Teseo. A queste reliquie si attribuiva il potere di scongiurare malattie e carestie, apportare fertilità e benessere, indurre guarigioni miracolose. Spesso si trattava di resti ossei di dimensioni eccezionali, probabilmente fossili di animali preistorici. Per esempio, il ritrovamento di crani di un elefante nano, vissuto anticamente nell’Asia Minore ma anche in Sicilia, sembra essere all’origine della leggenda dei ciclopi, i giganti con un occhio solo. Il cranio dell’elefante presentava infatti una cavità centrale dove si innestava la proboscide; tale cavità venne interpretata come orbita oculare e da qui probabilmente derivò la storia dei ciclopi con un unico occhio in mezzo alla fronte. Allo stesso modo, quando si ritrovavano ossa di dimensioni sovrumane, queste venivano attribuite a qualche dio o eroe della mitologia. A parte le ossa, in varie località greche si potevano ammirare oggetti appartenuti ai grandi eroi: la lancia di Achille, la lira di Orfeo, lo scettro di Agamennone, il sandalo di Elena, l’ancora degli Argonauti. Questi reperti costituivano più delle curiosità che degli oggetti di culto, ma contribuivano ad attirare pellegrini, e probabilmente questa consuetudine contribuì a far sorgere il culto delle reliquie nel Cristianesimo.
Impurità della morte — Anche in India vi erano nel passato e vi sono tuttora pellegrinaggi verso i luoghi frequentati da santi e maestri, ma il culto delle reliquie è diffuso nel Buddhismo, non nell’Induismo. Questo sia per la credenza induista nella reincarnazione, secondo cui l’anima santa rinasce in un altro corpo, sia soprattutto per l’impurità associata alla morte e al cadavere. Il corpo morto è ritenuto contaminante e per questo viene cremato; le ceneri di solito vengono versate nel Gange o nel fiume più vicino, ritenendo che le acque di quest’ultimo alla fine confluiscano idealmente in quelle del Gange. Nel Buddhismo, invece, l’impurità della morte viene superata con la riflessione sull’impurità costante del corpo, sia durante la vita sia dopo il decesso, per cui non vi è reale differenza tra un vivente e un cadavere. In ogni caso i resti del Buddha e dei santi illuminati non sono mai stati considerati impuri. Le principali reliquie riguardano ovviamente il fondatore del Buddhismo. Alla morte il Buddha fu cremato, ma dal fuoco si salvarono alcuni denti, parte della mascella e qualche osso, oltre ovviamente alle ceneri. Secondo la tradizione, il bramino Drona suddivise le reliquie in parti uguali e le consegnò a otto re dell’India, istruendo ciascuno di loro a costruire uno stupa (un tumulo funerario a forma di cupola) per custodire le reliquie. L’imperatore indiano Ashoka (III secolo a.C.) raccolse tutte le reliquie e, si narra, le divise in 84 mila parti, facendo costruire altrettanti stupa in tutta l’India. Oggi varie località in cui è diffusa la fede buddhista vantano reliquie che sono oggetto di grande venerazione. Un dente del Buddha è custodito a Kandy, nello Sri Lanka, e ogni estate viene condotto in processione per le vie della città, mentre dei capelli del Buddha sono conservati a Yangon (Rangoon) nel Myanmar (l’ex Birmania). Inoltre in varie località dell’Asia meridionale sono venerate orme del Buddha, nonché resti corporei ed effetti personali di vari santi ed eroi, mentre nel Buddhismo tibetano sono onorati i corpi accuratamente preservati dei Dalai Lama.
Ebraismo e Islam — Anche nell’Ebraismo i morti sono considerati impuri, per cui vi è una netta separazione fra morti e vivi, il che ha impedito la nascita di un culto delle reliquie. Inoltre tale culto è considerato equivalente all’idolatria, al pari della fabbricazione di icone o immagini della divinità. Un atteggiamento analogo si riscontra nell’Islam, dove però, a livello popolare, vi è sempre stato e vi è ancora un certo culto delle reliquie, specialmente riguardo a capelli, denti, autografi e soprattutto orme di Maometto. Sono anche venerate le tombe di santi ed eroi dell’Islam. Per esempio, Hussein ibn ‘Ali, nipote del profeta, una delle figure principali del mondo sciita, è sepolto a Karbalà, in Iraq, dove fu ucciso nel 680, ma si ritiene riposi anche a Medina, Damasco, Aleppo e altrove, mentre la sua testa sarebbe conservata al Cairo, dove è oggetto di venerazione popolare. Va osservato che i teologi musulmani hanno sempre osteggiato e condannato il culto delle reliquie, poiché Maometto non ha natura divina e l’adorazione è riservata a Dio e non va rivolta a persone od oggetti di alcun genere.
Martiri cristiani — Venendo al Cristianesimo, fin dall’inizio vi fu una forte devozione verso i martiri, coloro cioè che morivano per la fede, e si diffuse l’usanza di celebrare la messa accanto alle tombe di questi santi. Il vero e proprio culto delle reliquie può essere fatto risalire al ritrovamento della Croce di Gesù (si veda l’articolo Vera Croce) da parte di Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, nel IV secolo, quando con la libertà di culto per il Cristianesimo cominciò a intensificarsi la richiesta di resti umani o effetti personali dei martiri. Proprio nel IV secolo nella Chiesa orientale si stabilì che l’eucarestia potesse essere celebrata soltanto su un altare coperto da un antimension, un panno in cui fossero cuciti frammenti di reliquie, mentre nella Chiesa occidentale si usava racchiudere alcune reliquie in una cavità all’interno dell’altare. Molto più tardi, col secondo Concilio di Nicea (787), si rese obbligatoria la presenza di tali reliquie per la consacrazione di una chiesa.
Resti di santi — In effetti la diffusione delle reliquie, dal IV secolo in poi, favorì la propagazione del Cristianesimo, per due motivi principali: da un lato, anche nelle località più distanti si potevano venerare sia i santi locali sia quelli più importanti e conosciuti, per mezzo di questi segni tangibili della loro presenza; dall’altro lato, i credenti potevano rivivere alcuni momenti fondamentali della loro fede, senza bisogno di recarsi in pellegrinaggio in Palestina o a Roma o in altri luoghi di sepoltura dei santi principali. Così, se il pellegrinaggio avvicinava i fedeli ai santi, le reliquie avvicinavano i santi ai fedeli. Poiché i sacri resti erano conservati in altari e reliquiari, spesso riccamente decorati, anziché in sarcofagi, e quasi sempre erano frammenti di ossa o parti del corpo oppure oggetti inanimati, e non corpi interi, si superava ogni connotazione negativa legata alla morte, e il santo era sentito vivo e presente, non defunto e passato, tanto più che a tali reliquie si attribuiva la capacità di guarire le malattie e di operare miracoli di vario genere. Fedeli locali e pellegrini venuti da fuori elargivano offerte per impetrare favori o sdebitarsi per grazie ricevute, per cui la presenza di reliquie costituiva una significativa fonte di reddito, oltre a procurare notevole prestigio sociale a chi le possedeva.
Mercato di reliquie — Le reliquie divennero un requisito fondamentale per le città che divenivano sedi vescovili; era infatti importante dimostrare che la sede avesse origine antica e risalisse agli apostoli di Gesù o ai loro discepoli, anche perché l’importanza del santo lì venerato contribuiva a definire l’importanza della diocesi e la sua preminenza su altre sedi. Ma anche nobili e potenti facevano a gara per accaparrarsi reliquie, le chiese e i castelli le bramavano per acquisire fama e importanza, chierici e laici ambivano a portarle appese al collo o cucite nelle vesti. Per tutto il medioevo vi fu pertanto un fiorente mercato di reliquie. I modi per acquisirle erano tre: il dono, il furto e la compravendita. I principali donatori furono i pontefici romani, che in tal modo accrescevano il proprio prestigio e contribuivano a sottomettere all’autorità papale i beneficiari di doni tanto preziosi. Il furto era diffuso sia a livello individuale, per procurarsi certe reliquie ambite per via del loro potere miracoloso, sia a livello collettivo, con i saccheggi in seguito ad azioni di guerra. Il più importante in questo senso fu il saccheggio di Costantinopoli nel 1204, nel corso della quarta crociata. La compravendita di reliquie era pure molto diffusa, al punto che vi erano mercanti specializzati. Lo scrittore inglese Geoffrey Chaucer (circa 1340-1400), nei suoi Racconti di Canterbury, narra di un mercante di reliquie che teneva nel baule una federa, a suo dire costituente il «velo» della Madonna.
Corpi smembrati — Nei primi tempi però le autorità cercarono di contrastare la circolazione delle reliquie. Nell’Impero romano infatti era sancita l’inviolabilità delle tombe ed era proibito smembrare e traslare i corpi dei defunti; lo ribadì nel 386 l’imperatore Teodosio con una legge che proibiva anche la compravendita e la suddivisione dei resti dei martiri. Tale legge dovette però avere scarso effetto se qualche decennio più tardi Sant’Agostino lamentava il commercio, da parte di monaci privi di scrupoli, di «membra di martiri, se poi davvero di martiri si tratta». Soltanto a partire dal VII secolo si diede il via libera alla pratica, peraltro già tradizionale nella Chiesa orientale, di smembrare e traslare i corpi dei martiri. Il dubbio di Sant’Agostino era però legittimo, e ancora di più lo sarebbe diventato nei secoli successivi. La diffusione del Cristianesimo in tutta Europa fece aumentare la richiesta di reliquie. D’altro canto l’epoca delle persecuzioni e quindi dei martiri si era conclusa da un pezzo, per cui la santità incominciò a essere attribuita ad asceti ed eremiti e successivamente a potenti (nobili, sovrani, vescovi, abati) che avevano rinunciato alle ricchezze per diffondere la fede cristiana o comunque avevano condotto una vita di perfezione morale. Va osservato che quasi tutti i santi e i beati proclamati dal VII al XVI secolo erano nobili, sovrani o principi della Chiesa, probabilmente nella convinzione che soltanto l’appartenenza a famiglie illustri potesse consentire la ricerca di una vita di elevato valore spirituale. In tempi più recenti, venuta meno l’importanza delle reliquie, si è ripreso ad attribuire la condizione di santità anche a persone di bassa estrazione sociale, e questo, unitamente alla proliferazione di santi, dovrebbe contribuire a riavvicinare i fedeli al mondo spirituale, oggi sempre più distante dalla vita quotidiana. In questo contesto va probabilmente inserito il fatto che papa Giovanni Paolo II, nel suo lungo pontificato (1978-2005), abbia proclamato ben 461 santi e quasi mille beati, ossia più dei suoi predecessori degli ultimi quattro secoli messi assieme.
Le 60 dita di Giovanni Battista — Nel medioevo la forte domanda, unita alla difficoltà di reperire le parti del corpo e gli oggetti appartenuti ai santi, dovette far nascere una vera e propria industria delle reliquie, che in effetti vennero fabbricate in gran numero, al punto che di ogni reliquia esistevano diverse copie. Era raro infatti che i resti di un santo si trovassero in un unico luogo. Vi erano per esempio almeno tre teste di Giovanni Battista, del quale non meno di 19 chiese affermavano di custodire la mascella, mentre di questo santo molto popolare si annoveravano ben 60 dita. Inoltre erano sparse per l’Europa nove mani di San Bartolomeo, sei mani di Sant’Adriano, sei mammelle di Sant’Agata, diciassette braccia di Sant’Andrea e più di trenta teste di Santa Giuliana.
La tomba di Pietro — Gli apostoli di Gesù erano ovviamente i santi più noti e richiesti, e alla loro presenza e predicazione si faceva risalire l’arrivo del Cristianesimo in vari paesi europei e mediorientali. San Pietro, il «principe degli apostoli», era venerato a Roma, dove ancora oggi si conservano i presunti resti della sua testa (e di quella di San Paolo) nella basilica di San Giovanni in Laterano, ma parti del corpo di Pietro si trovavano ad Arles, Cluny, Saint-Cloud e Costantinopoli; la sua tomba era a Tolone, tre denti erano custoditi a Marsiglia, la barba a Poitiers e il cervello a Ginevra; riguardo a quest’ultimo, il riformatore Giovanni Calvino (Jean Cauvin o Calvin, 1509-1564) spiegò che si trattava semplicemente di un pezzo di pietra pomice. Secondo la tradizione, Pietro morì e fu sepolto a Roma, ma né il Nuovo Testamento né altre fonti dell’epoca indicano con precisione la sua presenza nella città eterna. Negli anni 1940-49 furono condotti scavi archeologici sotto la cupola di San Pietro, in Vaticano, e vennero alla luce diversi mausolei e due cripte legate al culto della dea Cibele. Nel 1950 papa Pio XII annunciò il ritrovamento della tomba di Pietro, anche se nessun indizio poteva far pensare a un collegamento fra quei reperti e l’apostolo.
Gesù e Maria — Tornando al medioevo, poiché Gesù e la Madonna erano stati assunti in cielo, non erano plausibili reliquie corrispondenti a loro parti del corpo (per quanto esistessero almeno tre ombelichi di Gesù), per cui l’attenzione fu rivolta a oggetti a loro appartenuti. Così ancora oggi si venerano alla Sainte-Chapelle di Parigi le fasce di Gesù Bambino, di cui esistevano naturalmente varie copie, mentre nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma vi è la «sacra culla» dello stesso Gesù, ossia resti della mangiatoia di Betlemme, ricevuta in dono da papa Teodoro I nel VII secolo. Nella cattedrale di Treviri (Trier), in Germania, è conservata invece la tunica indossata da Cristo sulla via del Calvario (anche di questa vi erano diverse copie). Nel 1983 tornò alla ribalta una reliquia poco reclamizzata, in quell’anno trafugata dalla chiesa parrocchiale di Calcata (Viterbo): si tratta di un frammento di pelle disseccata che rappresenterebbe il «sacro prepuzio», residuo della circoncisione di Gesù, di cui nel passato si contavano almeno sette esemplari. Quanto alla Madonna, in varie chiese vi erano fiale contenenti il suo latte, si potevano ammirare diverse sue fedi nuziali, nonché fili della sua veste. Nell’epica della Chanson de Roland, risalente al XII secolo, si narra che il prode Rolando (od Orlando) in Spagna combatte con una spada nella cui elsa si trova un frammento dell’abito della Madonna, assieme a un capello di San Daniele, un dente di San Pietro e qualche goccia di sangue di San Basilio.
Stranezze — Ma c’erano reliquie ancora più strane, riferite a episodi narrati dai Vangeli: la coda dell’asino in groppa al quale Gesù entrò a Gerusalemme; il catino adoperato per lavare i piedi agli apostoli durante l’Ultima Cena e la tovaglia usata nella stessa occasione; una giara in cui Gesù aveva mutato l’acqua in vino a Cana; briciole del pane con cui aveva sfamato i cinquemila; la spugna con l’aceto utilizzata per dissetare Cristo sulla croce. La «reliquia» di maggiori dimensioni è però la casa di Nazareth in cui la Madonna avrebbe cresciuto Gesù. Secondo una leggenda risalente alla fine del XV secolo, nel 1291 questa casa si sarebbe innalzata miracolosamente in volo e sarebbe stata trasportata a Tersatto (Trsat), sobborgo di Fiume (Rijeka, in Croazia), dove ancora oggi vi è un noto santuario mariano, e poi nel 1294 si sarebbe trasferita allo stesso modo nei pressi di Recanati, nelle Marche, sistemandosi in un luogo circondato da alberi di lauro e per questo chiamato Loreto. I pellegrinaggi alla Madonna di Loreto continuano ancora oggi. I mercanti di reliquie medievali riuscivano a offrire, e probabilmente a vendere, oggetti ancora più inverosimili: fiale contenenti uno starnuto dello Spirito Santo o il suono delle campane del tempio di Salomone o i raggi della stella cometa che guidò i Magi, nonché lacrime di Gesù e piume dell’arcangelo Gabriele.
Religiosità popolare — Se tutto questo oggi ci fa sorridere, non dobbiamo mai dimenticare che parliamo di un’epoca in cui la grande maggioranza della popolazione era analfabeta e il livello culturale era bassissimo. La religiosità popolare non poteva nutrirsi di sottili disquisizioni teologiche; doveva invece avere qualcosa di concreto con cui instaurare un rapporto col divino, un ponte fra piano umano e piano soprannaturale. D’altro canto la Chiesa doveva offrire occasioni di culto materiali, tangibili e visibili, per competere con le credenze «pagane» nella natura e nei demoni, che sotto vari aspetti consentivano rapporti molto personali con il sacro (anche gli angeli custodi svolgevano questa funzione). Quanto ai «miracoli» operati dalle reliquie, sappiamo che non è difficile constatarne alcuni (si veda l’articolo Miracoli). Inoltre il medioevo sembra non finire mai, se è vero che sul ben noto sito d’aste via Internet e-Bay qualcuno ha messo in vendita delle piume dell’arcangelo Gabriele (non è chiaro se ci siano stati compratori). E naturalmente sono centinaia di migliaia le persone che accorrono a vedere la Sindone a ogni nuova esposizione. Forse il livello culturale non è poi cambiato molto, negli ultimi settecento anni. Gli articoli che seguono trattano più in dettaglio alcune reliquie e personaggi famosi: Magi, Vera Croce, Sindone, San Giacomo (di Compostela), San Gennaro.
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