CHE COSA C’È DI VERO NEI VANGELI?
Ben poco. La prima cosa falsa naturalmente sono i nomi degli evangelisti. Non si sa chi abbia scritto i Vangeli, e di certo non sono stati i personaggi a cui vengono attribuiti. Quando questi scritti anonimi si diffondono al di fuori delle comunità di origine, vi è la necessità da un lato di indicare gli autori di questi testi e dall’altro lato di conferire una certa autorevolezza a questi scritti, e il modo migliore per farlo era ritenerli opera di discepoli di Gesù o di persone che fossero state a stretto contatto con i discepoli di Gesù. Così Matteo e Giovanni dovevano essere due degli apostoli, Marco un collaboratore di Pietro, Luca un accompagnatore di Paolo.
Evangelisti – Però i discepoli di Gesù erano ebrei palestinesi, originari della Galilea, di lingua aramaica, e quasi sicuramente analfabeti (come affermano gli stessi Vangeli e gli Atti degli Apostoli, scritti dallo stesso autore del Vangelo di Luca), e per di più erano sicuramente adulti all’epoca della morte di Gesù, negli anni Trenta del I secolo. Luca indica una data precisa, il quindicesimo anno di Tiberio, ossia il 28-29 d.C., come inizio della predicazione di Giovanni Battista e poi di Gesù, quando questi ha «circa trent’anni». Quest’ultima indicazione è simbolica, ricorda l’età a cui nel racconto biblico Davide viene incoronato re. Sicuramente la morte di Gesù va collocata nel periodo in cui Pilato è procuratore della Giudea, ossia dal 26 al 36. Molti studiosi, seguendo l’indicazione di Luca, propendono per il 30 come anno di morte di Gesù, ma altri indicano il 36, altri ancora una data intermedia. Gesù dunque muore negli anni Trenta. I Vangeli sono stati scritti però fra gli anni Settanta (Marco), gli anni Ottanta (Matteo e Luca) e gli anni Novanta (Giovanni) del I secolo, dunque a distanza di 40-50-60 anni dalla morte di Gesù, quando questi presunti autori avrebbero avuto un’età molto avanzata. Ma a parte questo si può vedere leggendo e studiando i Vangeli che sono stati scritti in lingua greca, al di fuori della Palestina, da persone che non conoscevano la Palestina e probabilmente non erano ebrei (anche se non è del tutto chiaro). Quindi il ritratto degli evangelisti non corrisponde minimamente a quello di discepoli di Gesù.
Gesù storico – Se vogliamo andare alla ricerca del Gesù storico, siamo nei guai, perché uno storico avrebbe bisogno di documenti non cristiani che parlassero di Gesù; «non cristiani» perché i documenti cristiani sono ovviamente di parte e per di più sono testi religiosi, il loro scopo è trasmettere un messaggio religioso, non di documentare avvenimenti storici. Il problema è che questi documenti non cristiani non esistono. Nell’impero romano del I secolo nessuno parla di Gesù, e non perché manchino documenti. Del I secolo ci sono centinaia di scritti: opere di filosofi, di storici, di geografi, di letterati, ma anche documenti amministrativi, corrispondenze fra le varie cariche dell’impero, lettere private e altro. Ebbene, in tutto questo non c’è nessuna menzione di Gesù: sconosciuto. L’unica eccezione è Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo, che nella monumentale opera in 20 volumi Antichità giudaiche accenna a Gesù, dicendo però soltanto che era un uomo sapiente e faceva cose straordinarie, e alla fine, in seguito a un’accusa mossa dalle autorità ebraiche, è stato crocifisso per ordine di Pilato, ma i suoi seguaci gli sono rimasti fedeli anche dopo la morte. Non dice nulla riguardo alla vita o agli insegnamenti di Gesù.
Predicatore – Allora per farci un’idea del Gesù storico dobbiamo affidarci ai Vangeli, in particolare al Vangelo di Marco, che è il più antico e quello che conserva un filo di congiunzione con la realtà della vita di Gesù. Se dovessimo domandare a uno storico che cosa si può dire di Gesù, ci risponderebbe «molto poco», proprio perché non ci sono documenti che ne parlino. Molto in sintesi, dal punto di vista storico si può dire questo: Gesù era un profeta ebreo, predicatore itinerante, esorcista e guaritore, forse allievo di Giovanni Battista. A un certo punto si è messo a predicare e a fare miracoli (più che altro esorcismi e guarigioni), ha raccolto diversi seguaci, poi, nel giro di brevissimo tempo, probabilmente pochi mesi, è entrato in conflitto con le autorità romane ed è stato arrestato, condannato a morte e crocifisso per ordine di Pilato. Questo è quanto si può dire storicamente di Gesù ed è ciò che troviamo sullo sfondo del Vangelo di Marco. Oltre a questo, di vero nei Vangeli ci sono sicuramente delle cose che Gesù ha detto e fatto, ma non è facile distinguerle da altre cose che invece Gesù non ha né detto né fatto. Gli storici hanno vari criteri per stabilire la plausibilità delle storie raccontate nei Vangeli, ma non vi è un consenso generale e su molti punti si possono soltanto avanzare ipotesi.
Perché i Vangeli – Una domanda che ci si può porre è perché siano stati scritti i Vangeli. Sembra una domanda superflua, ma non è così. Si può anche ribaltare la domanda e chiedersi perché non sia stato scritto niente prima. E anche perché Gesù non abbia lasciato niente di scritto. (Forse non sapeva scrivere, ma avrebbe potuto dettare a qualcuno.) La risposta a queste domande è sempre la stessa: perché quello che Gesù annunciava non si è avverato. Gesù infatti annunciava la fine del mondo, o perlomeno del mondo conosciuto, con l’avvento di quello che chiamava «il regno di Dio», ossia una nuova era di pace e prosperità per tutti. In questo senso Gesù può essere considerato un ebreo apocalittico. È necessaria una digressione per spiegare questo concetto.
Messia – Gli ebrei attendono il messia. Il concetto di messia arriva relativamente tardi nell’Ebraismo, probabilmente per influsso dello Zoroastrismo. Nella Torah (il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia) non si parla del messia. Certamente all’epoca di Gesù c’era ormai una tradizione consolidata al riguardo, e da almeno due secoli vi era un’attesa del messia che avrebbe salvato gli ebrei. L’idea che ci si faceva del messia era di vari tipi, ma in particolare due: il messia doveva essere un re dei giudei, un re guerriero che si sarebbe messo a capo di un esercito di ebrei e avrebbe sconfitto i nemici del popolo di Israele, restaurando la monarchia indipendente come al tempo di re Davide; oppure doveva essere un giudice cosmico, che avrebbe inaugurato una nuova era, una sorta di paradiso in terra senza più guerre, epidemie, carestie, calamità naturali e sofferenze di alcun tipo, dove tutti avrebbero vissuto in pace e armonia (secondo Isaia 11,6, «il lupo abiterà con l’agnello, la pantera s’accovaccerà col capretto; vitello e leone pascoleranno assieme, sotto la custodia di un piccolo fanciullo»); un mondo idilliaco senza sofferenze.
Apocalittici – All’epoca di Gesù, molti ebrei, come gli ebrei odierni, ritenevano che il messia sarebbe arrivato in un momento futuro non ben definito ma non certo imminente. C’erano però altri ebrei, che potevano anche essere maggioritari, i quali ritenevano che tale avvento fosse dietro l’angolo: erano i cosiddetti ebrei apocalittici (una definizione moderna). Avevano ricevuto un’apocalisse, ossia una rivelazione: il mondo va male, per gli ebrei peggio che per gli altri, ci sono epidemie, carestie, guerre, sofferenze di ogni tipo, per gli ebrei anche la dominazione straniera; ma questo non è colpa di Dio, è colpa di forze demoniache, forze del male che si sono impadronite del mondo; e chi in questo mondo ha ricchezza e potere li ha conquistati grazie un’alleanza con queste forze del male. Presto però Dio invierà il messia, che inaugurerà la nuova era di pace e prosperità. In questo regno di Dio (sulla terra) ci saranno soltanto coloro che saranno ritenuti degni, secondo il giudizio espresso dallo stesso messia, il quale giudicherà i vivi e i morti, dopo la risurrezione dei morti stessi.
Regno di Dio – Gesù annunciava proprio questo. In vari passi dei Vangeli invita a vigilare, a tenersi pronti perché l’avvento del regno di Dio è imminente. E dice: «Ci sono alcuni dei presenti che non gusteranno la morte, prima di aver visto il regno di Dio venuto con potenza» (Marco 9,1); «non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga» (Marco 13,30); «non finirete le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo» (Matteo 10,23). Anche Giovanni Battista prima di lui e San Paolo dopo di lui erano ebrei apocalittici. Paolo nelle sue lettere si dice convinto che lui stesso e i suoi seguaci saranno ancora vivi quando ci sarà questo avvento del messia, che Paolo interpreta come un ritorno di Gesù. (Gesù annuncia invece l’avvento del «Figlio dell’uomo», ma non è chiaro se intenda sé stesso o qualcun altro.) Perciò il regno di Dio doveva arrivare entro qualche anno o al massimo qualche decennio. Invece tutto questo non avviene. Muore Gesù, una trentina d’anni dopo muore anche Paolo, e ancora il regno di Dio non è arrivato. A questo punto bisogna cambiare le cose. Molto brevemente, la prospettiva del regno di Dio da orizzontale diventa verticale, e da temporale diventa spaziale: il regno di Dio non è una cosa che succederà qui sulla terra in un futuro prossimo, ma è una cosa che esiste già ed è in cielo, e vi si accede dopo la morte. Questo cambiamento si vede nel Vangelo di Giovanni. L’idea di un ritorno di Gesù tuttavia permane, e in seguito darà vita a quello che viene chiamato millenarismo.
Stesura dei Vangeli – Poiché questa fine del mondo è come minimo rimandata, le comunità cristiane frattanto sorte in varie zone dell’impero romano cominciano a sentire l’esigenza di mettere per iscritto i racconti e le tradizioni riguardo a Gesù. Prima non c’era questa esigenza perché si riteneva prossima la fine: non aveva senso mettere per iscritto una profezia che presto si sarebbe avverata. Non erano previsti posteri a cui lasciare questi scritti. Invece l’esigenza emerge quando ci si rende conto che le comunità cristiane non sono più provvisorie, in attesa dell’imminente regno di Dio, ma dovranno durare ancora a lungo, forse ancora una generazione, forse più. Allora per diffondere il messaggio cristiano è opportuno avere un punto riferimento uguale per tutti, per dire quanto si sapeva su Gesù e sul suo insegnamento. Per questo si scrivono i Vangeli.
Fonti – Naturalmente ciascuno degli evangelisti scrive in maniera indipendente dagli altri, come se il suo Vangelo dovesse essere l’unico. Per questo ci sono discrepanze tra i Vangeli: nessuno degli autori si sarebbe immaginato che a distanza di secoli questi testi sarebbero stati inseriti in un canone e confrontati. I testi sono stati scritti separatamente, in funzione della comunità in cui sono emersi. Vi è però un’eccezione: il Vangelo di Marco ha costituito la fonte principale dei Vangeli di Matteo e Luca, che ne ricalcano le storie. Questi due Vangeli hanno avuto anche un’altra fonte importante, la cosiddetta fonte Q, in cui sono raccolti vari detti di Gesù, fra cui il Padre nostro e le Beatitudini, che sono presenti in Matteo e Luca ma non in Marco. Giovanni probabilmente conosceva il Vangelo di Marco perché ne ricalca l’impianto narrativo, ma non ne utilizza le storie. In generale comunque gli evangelisti mettono per iscritto fonti orali precedenti.
Scritture – Gli evangelisti e in generale i primi cristiani avevano innanzi tutto il problema di dimostrare che Gesù fosse effettivamente il messia atteso dagli ebrei, impresa non facile perché Gesù non aveva le caratteristiche del messia. In entrambe le versioni sopra indicate, infatti, il messia doveva sconfiggere i nemici del popolo di Israele (principalmente i romani) e le forze del male, dunque doveva essere un personaggio molto potente, più potente di tutti i re della terra. Invece Gesù soffre e muore; lungi dallo sconfiggere i romani, dai romani viene messo a morte come un delinquente. Allora gli evangelisti o più in generale i primi cristiani che cosa fanno? Vanno a cercare nelle scritture ebraiche qualche passo che parli di sofferenze. Naturalmente non ci sono testi che parlino di un messia sofferente, tanto meno di un messia che muore. In funzione di quello che trovano (per esempio il capitolo 53 di Isaia, il salmo 22, altri passi di salmi vari), gli evangelisti raccontano vari particolari della storia di Gesù (non il contrario: non trovano casualmente nelle scritture alcuni riferimenti a cose effettivamente successe a Gesù).
Salmo 22 – Così per esempio nei Vangeli di Marco e Matteo (ma non negli altri due) Gesù sulla croce dice: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Questo è l’inizio del salmo 22. È come se Gesù sulla croce dicesse: andate a leggere il salmo 22, perché parla di me. In realtà non parla di lui, non parla del messia. Il salmo 22 è un lamento di un uomo sofferente, che fa un elenco delle proprie sofferenze, esordisce dicendo appunto «Mio Dio perché mi hai abbandonato?» ma poi ha un messaggio di speranza, di lode a Dio. In questo elenco di sofferenze è detto fra l’altro: «Si dividono fra loro le mie vesti e sulla mia tunica gettano le sorti», come guarda caso viene detto dei romani con Gesù sulla croce. Nel salmo 69 è detto: «Per cibo mi danno fiele, e nella mia sete mi fanno bere aceto». Pure questo guarda caso viene detto di Gesù sulla croce.
Isaia – Anche nel capitolo 53 di Isaia si parla di sofferenze, ma di nuovo non si parla del messia, bensì del popolo ebraico, chiamato «servo di Dio». Di sicuro è facile trovare un collegamento con Gesù, perché questo servo di Dio soffre per i peccati degli altri. E diversi punti di questo brano vengono utilizzati per raccontare la passione di Gesù. Infatti il servo di Dio viene disprezzato e abbandonato da tutti (e così Gesù sulla croce viene dileggiato dai romani e abbandonato dai discepoli), nella morte viene unito ai malfattori (e Gesù viene crocifisso tra i due ladroni). Inoltre viene detto che il servo di Dio, accusato, non risponde alle accuse (e così Gesù non si difende e rimane in silenzio durante il processo davanti al sinedrio). Va osservato che questi brani non parlano del messia e non sono mai stati interpretati come tali dagli ebrei. Solo i cristiani (che fin da principio si sono considerati i veri interpreti delle scritture ebraiche) hanno interpretato tali brani in senso messianico, perché parlano di sofferenze e possono essere riferiti a Gesù. Il brano di Isaia, però, non parla del futuro, ma del passato. Le sofferenze sono quelle del popolo di Israele nel passato (in particolare durante l’esilio a Babilonia), non si parla del messia futuro. Se i cristiani si sono sempre posti come i veri interpreti delle scritture ebraiche, in realtà si tratta di un travisamento di tali scritture; si vuole far dire a questi brani ciò che in realtà non dicono.
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